Perché il nostro cervello è programmato per essere sociale - 2

Ma come si è arrivati a questa conclusione? Nel 1997, Gordon Shulman e alcuni suoi colleghi della Washington University svolsero ripetuti esami utilizzando la PET (Tomografia a Emissione di Positroni). A seguito di tali osservazioni pubblicarono due articoli sul Journal of Cognitive Neuroscience, prestigiosa rivista di ricerca neuro diagnostica (Shulman, G.L., Corbetta, M., Buckner, R.L., Fiez, J.A., Miezin, F.m., Raichle, M.E., & Petersen, S.E., (1997) Common blood flow changes across visual tasks: I. Increases in subcortical structures and cerebellum but not in nonvisual cortex. Journal of Cognitive Neuroscience, 9(5), 624-647; Shulman, G.L., Corbetta, M., Buckner, R.L., Fiez, J.A., Miezin, F.m., Raichle, M.E., & Petersen, S.E., (1997) Common blood flow changes across visual tasks: II. Decreases in cerebral cortex. Journal of Cognitive Neuroscience, 9(5), 648-663.

Nel primo articolo descrivevano le regioni cerebrali che erano attivate da differenti compiti (motori, mnemonici, di discriminazione visiva). I risultati dello studio furono poco entusiasmanti, in quanto solo alcune regioni mostravano un incremento di attività durante lo svolgimento di tali compiti ed erano aree che si conoscevano di già.

Nel secondo articolo invece, gli scienziati risposero ad una domanda assai più intrigante: “quali regioni del cervello sono più attive quando la persona NON sta facendo uno di questi compiti motori, visivi o cognitivi? Nonostante l’apparente stranezza della domanda, Shulman e colleghi arrivarono a scoprire che proprio quando le persone sono a riposo e non stanno svolgendo nessun compito specifico, vi è un gruppo di aree cerebrali che si attiva in maniera significativa rispetto a quando il soggetto è coinvolto nell’attività pratica.

Basandosi su questi assunti, Shulman e colleghi definirono inizialmente questa rete neurale “rete di deattivazione del compito indotto” e successivamente per questioni di brevità la definirono “la rete di default” o “rete di base”, riferendosi al fatto che questa rete si attiva quando gli altri compiti sono finiti.

In realtà la cosa è meno sorprendente di quanto si possa pensare. Quando ci viene affidato un compito, il nostro cervello è fortemente concentrato su ciò che stiamo facendo e tutto il nostro sistema cognitivo, visivo e motorio è concentrato sull’attività che viene svolta.

Nel momento in cui tale attività cessa (o per una decisione interna come prendersi un minuto di riposo o per un fattore esterno come quando lo scienziato decide di interrompere l’esperimento) il nostro cervello non cessa affatto di lavorare ma si lancia in una serie di operazioni di base (di default appunto) come pensare a se stessi, pensare agli altri, o pensare a se stessi in relazione agli altri. In estrema sintesi, questa rete di base sembra essere deputata alla comprensione sociale, ovvero all’interrogarsi sulle relazioni tra sé e gli altri e a come queste possano impattare sul nostro presente e sul nostro futuro.

Matthew Liebermann, uno dei padri fondatori del filone socio cognitivo delle neuro scienze e autore del libro “Social: Why Our Brains Are Wired to Connect” (2013) Crown Publishers, ha fornito due successive descrizioni di questa evidenza. Inizialmente ha postulato che “noi attiviamo la rete sociale durante il nostro tempo libero perché siamo interessati al mondo sociale”. Poi però, dopo aver esaminato le immagini della risonanza magnetica funzionale di numerosi individui, ha formulato una nuova e assai più suggestiva considerazione: “noi siamo interessati agli aspetti sociali del mondo, perché il nostro cervello è costruito per attivare la rete di base durante il tempo libero”. In questo modo, l’attività della rete di base diventa la causa del nostro interesse nel mondo sociale e non una semplice conseguenza.

Ed è qui che entrano in ballo le ricerche cui abbiamo accennato poco sopra. In contrapposizione a quanto Maslow postulò negli anni 40 (Maslow A.H., (1943). A theory of human motivation. Psychological Review, 50(4), 370), ovvero che il bisogno primario del bambino appena nato è unicamente il cibo, il sonno e lo svolgimento delle funzioni corporali e che il bisogno sociale è di fatto un bisogno secondario e si sviluppa in un’età più avanzata (l’adolescenza), le neuroscienze hanno stabilito che il bisogno sociale è già presente sin dalla nascita.

Alcuni psicologi dell’Università del Wisconsin hanno pubblicato sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences (volume 102, n. 47, anno 2005) un articolo in cui dimostrano per la prima volta che l’isolamento sociale di un bambino e l'assenza di una figura affettiva che si prenda cura di lui possono influire direttamente sul suo sviluppo neurobiologico, influenzando il comportamento emotivo come conseguenza dell’impatto che tale deprivazione ha sugli ormoni ipofisari quali la vasopressina e l’ossitocina, che svolgono un ruolo fondamentale nel determinare legami sociali e un'intimità emozionale adeguati.

Più recentemente, le ricerche effettuate da Liebermann e dalla sua equipe di neuro psicologi hanno stabilito che la rete di default di bambini di due giorni di vita è già significativamente attiva, prima ancora che loro sviluppino la coscienza del mondo sociale. Sembra quindi che l’attività della rete di default preceda qualsiasi interesse conscio nel mondo sociale, suggerendo che possa essere strumentale alla creazione di tale interesse. In altri termini l’interesse sociale è già inscritto nella rete neurale del nostro cervello da milioni di anni di esperienza e ci induce a comportamenti sociali che in qualche modo vengono condizionati dall’uso del pensiero razionale il quale in qualche modo “spegne” la rete di default.

Nel corso dei suoi studi, Lieberman ha potuto verificare con dati strumentali che il cervello umano in realtà è configurato per funzionare prevalentemente come strumento sociale e che questa funzione si alterna al pensiero logico razionale. Lieberman assimila queste due funzioni all’altalena a bascula (neural seesaw) in cui, quando il cervello è occupato nel pensiero logico razionale o in attività pratiche, le aree deputate al pensiero sociale si disattivano o comunque riducono significativamente la loro attività. Al contrario, quando il cervello smette di essere focalizzato su attività logiche o cognitive o operative, di colpo si attivano quelle aree deputate al pensiero sociale (Fox, M.D., Snyder, A.Z., Vincent J.L., Cornetta, M., Van Essen, D.C., & Raichle, M.E. (2005) The human brain is intrisically organized into dynamic, anticorrelated functional networks. Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America, 102(27), 9673-9678).

E questo non avviene solo nel momento in cui il cervello ha a disposizione una discreta quantità di tempo per ricollegarsi al pensiero sociale (diciamo dal minuto in su) ma accade in frazioni di secondo. Indagini strumentali hanno confermato che anche in soggetti cui venivano dati solo pochi secondi di pausa tra due diversi esercizi di matematica, si attivavano nel cervello le aree della rete di base, deputate al pensiero sociale. 

 

 

Perché il nostro cervello è programmato per essere sociale - 2