Perché il nostro cervello è programmato per essere sociale - 1

Siamo animali sociali o siamo mossi dal frenetico bisogno di affermarci, vincere e primeggiare? Tra successo personale e cura degli altri cosa scegliamo? In noi prevale il cinismo di Gordon Gekko o il cuore grande di Patch Adams? Le nostre decisioni vengono prese a livello razionale o a livello intuitivo? I più recenti studi di neuroscienze hanno stabilito che le persone sono mosse da un potente driver: la necessità di essere sociali. Lungi perciò dall’essere motivato prevalentemente da fattori autoreferenziali, individualistici o economici, il cervello dell’essere umano sembra essere formattato per pensare sociale e per prendere decisioni basandosi principalmente sul principio della mutua soddisfazione, della condivisione e del rispetto dell’altro. Queste scoperte possono diventare la base di un significativo cambiamento di paradigma nello sviluppo dei comportamenti organizzativi, attraverso l’impiego del neuro coaching individuale e di gruppo.

 

A partire dai primi del ‘900 alcuni studiosi, pur con metodi empirici, hanno cercato di comprendere alcuni aspetti fondamentali della psicologia del comportamento umano sviluppando teorie e modelli che oggi possono essere rivisti e validati attraverso le immagini strumentali.

Solo recentemente infatti le neuroscienze, grazie all’avvento di nuove tecnologie come la fMRI (Risonanza Magnetica Funzionale per Immagini) che ci permettono di vedere come il nostro cervello utilizza l’ossigeno ematico quando è in funzione, sono in grado di fornire conferme alle piccole e grandi intuizioni che nel passato hanno consentito lo sviluppo di importanti teorie del comportamento umano.

Già ai primi del ‘900 René Spitz (1887-1974), psicoanalista austriaco naturalizzato statunitense, studiò numerosi bambini ospedalizzati e quindi in situazioni di deprivazione di stimoli elaborando la teoria sulla depressione anaclitica e descrivendo in ordine progressivo i comportamenti di bambini che vengono separati dalla persona che si prende cura di loro, nonostante fossero loro garantiti l’alimentazione, l’igiene e il rispetto dei ritmi circadiani. Questo studio rivelò un percorso involutivo che nell’arco di un solo trimestre conduceva il bambino abbandonato al rifiuto del contatto fisico, all’insonnia, al ritardo nello sviluppo motorio, all’assenza di mimica, alla perdita continua di peso fino a raggiungere, dopo il terzo mese, la cessazione del pianto, lo stato letargico e in taluni casi la morte. (1946). Anaclitic depression. Psychoanalytic Study of the Child, 2, 313-342)

Le scoperte di Spitz vennero poi rafforzate da Harry Harlow e sua moglie (Harlow H.F., (1958) The nature of love. American Psychologist, 13,673-685. Conosciuti come i “Coniugi Harlow”, compirono esperimenti simili su cuccioli di macaco privati della madre. I cuccioli disponevano di due sostituti materni: uno era un peluche di morbida stoffa ma privo della funzione di allattamento mentre l'altro era di filo di metallo fornito però di un biberon dal quale le scimmiette affamate potevano succhiare il latte. Dopo ripetute osservazioni, i coniugi Harlow notarono che le scimmiette trascorrevano la maggior parte del tempo avvinte al pupazzo di stoffa, anche se era privo di biberon, e si attaccavano alla sagoma metallica solo per poppare. Dopo qualche settimana le scimmie divennero tristi e spaurite a causa della mancanza del contatto fisico e di sguardi. Quando le scimmie divennero grandi si comportarono come "cattive madri" mostrando indifferenza verso i loro piccoli, rifiutando loro l’allattamento e la protezione nel caso i piccoli fossero spaventati e arrivando ad aggredirli e rifiutarli.

Le ricerche di Spitz e quelle dei coniugi Harlow confermarono quindi che, sin dalla nascita, il cervello umano (e a controprova, anche quello dei primati) è strutturato per essere connesso socialmente e che se viene privato di tale connessione sociale si involve e la sua funzione decade come se fosse affetto da una malattia fisica.

Relativamente ai temi organizzativi, sin dal 1920, gli studi e le ricerche di Elton George Mayo presso lo stabilimento di Hawthorne della Western Electric permisero di documentare scientificamente il collegamento tra elementi sociali, come le relazioni nel gruppo e il gioco di squadra, con elementi tangibili come la produttività e i risultati. In particolare, Mayo scoprì quello che viene definito effetto Hawthorne, fenomeno per cui lavoratori chiamati ad impegnarsi in una nuova esperienza interessante lavorano di più e meglio e concluse che:

  • L’uomo è fondamentalmente motivato da bisogni di natura sociale ed ottiene dal rapporto con gli altri il suo senso di identità
  • In conseguenza della rivoluzione industriale e dell’organizzazione scientifica del lavoro, il lavoro stesso è privo di significato intrinseco, il quale va ricercato nei rapporti sociali che si formano sul lavoro
  • Il lavoratore è più influenzato dalla forza sociale del gruppo che da incentivi e controlli della Direzione
  • Il lavoratore risponde alla Direzione nella misura in cui essa ne rispetta i bisogni sociali.

Questi tre esempi, distribuiti nell’arco di oltre un secolo, evidenziano un aspetto che oggi trova conferma dalle più recenti indagini strumentali della neuro diagnostica: l’uomo non è un animale individualista esclusivamente motivato da interessi personali ed economici. L’uomo è un essere il cui cervello è programmato per sviluppare prevalentemente relazioni sociali. 

 

 

Perché il nostro cervello è programmato per essere sociale - 1